IL VANGELO SECONDO MARCO
(14)
La guarigione dell’indemoniato gerasèno (5,1-20) Il capitolo quinto del vangelo secondo Marco è tutto dedicato al racconto di miracoli che Gesù compie dopo aver calmato la tempesta sul mare di Galilea (cfr. 4,35-41) e aver rassicurato i discepoli rivelando la potenza della sua divinità (per questo la sezione racchiusa in Mc 4,35-6,6 è chiamata “il libretto dei miracoli”). Le parole iniziali (“Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni”) fanno di Gesù un nuovo Giona che, inviato da Dio a Ninive, esce vivo dalla tempesta che lo aveva inghiottito e dà inizio alla sua predicazione agli abitanti di questa città pagana (cfr. Gn 1,1-2). Così è di Gesù: la “crisi galilaica”, causata dall’ostilità e dalla chiusura dei suoi ascoltatori, è stata come la tempesta sul mare di Galilea, che minacciava di inghiottirlo. Ma Gesù è uscito vittorioso dalla tempesta e, come Giona, può recarsi ad annunciare la Parola e a operare miracoli anche presso i pagani (quali erano i Gerasèni). Gesù viene perciò presentato da Marco come il modello dei missionari che, dopo la Pasqua, annunceranno il vangelo ai pagani. Il mondo giudaico non poteva fornire un simile modello, perché non conosceva l’attività missionaria rivolta ai pagani, con i quali evitava ogni contatto. Queste due annotazioni aiutano a collocare il miracolo di guarigione dell’indemoniato in un orizzonte più vasto, che spiega la minuziosa descrizione che ne fa l’evangelista, con tratti che a prima vista potrebbero sembrare fantasiosi o inverosimili (come il riferimento alla enorme mandria di porci e alla sua caduta precipitosa nel mare). All’origine del miracolo c’era probabilmente un esorcismo compiuto da Gesù. L’esorcismo è l’intervento che ha il potere di eliminare la presenza e il potere del demonio dalla persona che ne è dominata. L’indemoniato di Gerasa diventa l’immagine di tutto un mondo – quello pagano – che è ancora sotto il dominio del demonio, cioè non ha ancora sperimentato la salvezza donata da Gesù. Infatti, i tratti che delineano la persona e l’ambiente dell’indemoniato sono i tratti che descrivono la condizione del mondo pagano. Il riferimento alle “tombe” come dimora abituale dell’indemoniato allude alla condizione di impurità rituale in cui si trova il mondo |
abitato dai pagani. Nel giudaismo l’impurità rituale impedisce la preghiera, il culto, il rapporto con Dio e con gli altri. Il riferimento alla presenza dei porci al pascolo sottolinea che Gesù è entrato in un territorio abitato da soli pagani. Gli ebrei infatti non potevano (e non dovevano) cibarsi di carni suine né allevare i porci. Tutto ciò li poneva in uno stato di impurità che, come abbiamo notato, secondo la legge mosaica, impediva loro il culto e la preghiera: “Anche il porco… per voi è impuro. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri” (Dt 14,8; cfr. anche Lv 11,7). L’entrata di Gesù nel territorio dei pagani è visto come il primo passo per la loro purificazione e la loro salvezza (ciò avverrà con l’affogamento dei porci nel mare, immagine della vittoria sul demonio, primo portatore dell’impurità più invasiva, quella del peccato). Il nome che l’indemoniato dichiara a Gesù (“Il mio nome è Legione, perché siamo molti”) esprime quanto sono invasive la presenza e l’attività del demonio in terra pagana. Un’ultima annotazione riguarda il territorio in cui è collocato il racconto di guarigione dell’indemoniato. Gerasa, nel paese dei Geraseni (v. 1), è una località molto distante dal mare di Galilea (o lago di Gennèsaret), dove è ambientato questo racconto. Non si spiegherebbe facilmente la caduta di una mandria di animali nelle acque di questo mare, tanto lontano. L’evangelista Matteo, perciò, lo colloca nel territorio della città di Gadara (cfr. Mt 8,28: “nel paese dei Gadareni”), che è una località più vicina al mare di Galilea e rende più comprensibile il precipitare dei porci nelle sue acque. Probabilmente Marco fonde qui due racconti ambientati in luoghi diversi: il primo è costituito dal racconto dell’esorcismo e il secondo dal racconto dell’affogamento dei porci nel mare di Galilea. Nel v. 20 con il nome di Decàpoli (termine greco che significa “dieci città”) viene indicata una confederazione di dieci città (come Pella, Scitòpoli, Gadara, Gerasa) situate nella Transgiordania. Erano abitate prevalentemente da pagani e godevano di una certa autonomia politica. La guarigione della donna con perdite di sangue (5,25-34). Prima parte Segue ora la narrazione di due nuovi miracoli che Gesù compie al suo rientro in Galilea dal territorio pagano dei Geraseni: la guarigione della donna con perdite di sangue (vv. 25-34) e la risurrezione della figlioletta di uno dei capi della sinagoga (vv. 21-24.35-43). Entrambi avvengono probabilmente nei dintorni del litorale di Cafarnao (come annota Mt 9,1). Sono due narrazioni che Marco stende servendosi della “tecnica dell’incastro” (o della “costruzione a sandwich”, come preferiscono dire altri commentatori). È, questa, una modalità di narrazione che Marco usa anche altre volte (come in 3,20-35) e che consiste nel sovrapporre a un primo racconto di miracolo un secondo racconto. Infatti la narrazione di Marco si apre con l’invocazione di aiuto da parte di uno dei capi della sinagoga a favore della “figlioletta” che sta morendo e subito l’evangelista – come appare dalla sequenza dei versetti riportata sopra – interrompe il racconto per sovrapporre (o per “incastrare”) la descrizione della guarigione della donna che soffre per una perdita cronica di sangue. Dopo aver narrato la guarigione di questa donna, l’evangelista riprende la narrazione del miracolo della guarigione/risurrezione della bambina per la quale il padre aveva chiesto l’intervento di Gesù. PER LA RIFLESSIONE PERSONALE: 1. Come possono illuminare la nostra opera di evangelizzazione nel mondo “pagano” di oggi i gesti e le parole di Gesù nel mondo pagano dei Gerasèni? Questo racconto di liberazione dell’indemoniato mi aiuta ad avvertire quanto il nostro mondo attenda di essere liberato da tante “catene” e “ceppi” che lo stringono, di essere portato all’aperto, fuori dalle “tombe” in cui si è chiuso, di mettersi esso pure alla sequela di Gesù per annunciare il suo amore misericordioso che guarisce, libera e salva? 2. Come Gesù non impone la sua persona a quanti beneficiano della sua missione e dei suoi miracoli (non ha imposto all’indemoniato guarito di seguirlo), sono anch’io capace di non condizionare o legare a me o influenzare le persone con cui vengo a contatto con il mio apostolato o con il ruolo che ho? So lasciarle libere nelle loro scelte, nella loro vocazione, nel loro stile di vita, oppure voglio imporre le mie scelte, voglio decidere la loro vocazione, il loro stile di vita? 3. Quali riflessioni e iniziative suscitano in me la presenza e l’opera del demonio (tanto attivo, da chiamarsi “Legione”) sull’uomo, sul mondo, sulla mia stessa persona (pensiamo alle continue tentazioni)? Ho la convinzione di fede che la sua opera è sconfitta e vanificata dalla Croce e dalla Pasqua di Gesù? So annunciare questa verità, racchiusa in ogni miracolo di liberazione dal demonio da parte di Gesù, a chi oggi si sente “tormentato” dalla presenza e dall’opera di Satana? Don Primo Gironi, ssp |